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lunedì 19 gennaio 2009

Da Martin Luther King a Obama

Era il 1963, quando il premio nobel per la pace più giovane della storia (a soli 35 anni), Martin Luther King, scriveva dal carcere di Birmingham che "l'ingiustizia che si verifica in un luogo minaccia la giustizia ovunque. Siamo presi in una rete di reciprocità alla quale non si può sfuggire, avvolti da un'unica trama del destino. Qualunque cosa riguardi direttamente uno, riguarda in modo indiretto tutti. Non potremo mai più permetterci di vivere con l'idea ristretta e provinciale dell' "agitatore che viene da fuori"."
Oggi, mentre il mondo ricorda la pratica di vita non violenta di quest'uomo, di questo politico, attivista e pastore protestante statunitense, le redini degli Stati Uniti d'America vengono ufficialmente afferrate con forza dal neoeletto Barak Obama. Probabilmente è proprio da qui che ha inizio il futuro, il momento in cui la politica internazionale provi a sollevarsi dalle sabbie mobili dell'ingiustizia per aggrapparsi (e da lì rinascere) alla solida roccia della dignità umana. Qui e ora, è necessario creare quella "tensione nella mente" che Socrate aveva capito, in modo da liberare gli individui dai miti, dalle mezze verità, dal pregiudizio e dal razzismo, elevandoli fino alle altezze del "regno dell'analisi creativa", della "disamina oggettiva", della comprensione e della fratellanza.

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