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venerdì 17 aprile 2009

Se il piccolo(e bello)alza la voce

Questa mattina è stato pubblicato su http://itaalia.wordpress.com/2009/04/17/kui-vaike-ja-ilus-tostab-haalt/ un blog sull'Italia in lingua estone, un mio articolo che riporto per intero:
"Forse molti non sanno, o forse molti ignorano, che esiste un’Italia che non fa notizia, che non merita la prima pagina dei maggiori quotidiani e che parla a bassa voce. E’ la voce di una parte dell’Italia. E’ il Mezzogiorno. Quello descritto come la parte marcia del paese. Il problema dell’intero paese. Il luogo delle mafie, del traffico di droga e delle violenze di ogni tipo. Tutto questo è vero. Ma è vero anche il contrario. Il sud d’Italia non è solo questo.
“Casalesi è il nome di un popolo, non di un clan” (della camorra). E’ la frase che una ragazza ha pronunciato nella sua scuola a Casal di Principe, in provincia di Caserta (Campania). Per sottolineare che quello non è solo il luogo della criminalità, ma è una cittadina dove vive anche della gente onesta che non merita di essere etichettata ed esclusa. Un’altra ragazzina, che nessun giornalista ha ascoltato, proviene da un quartiere periferico di Napoli. Lei ha 13 anni. Frequenta la terza media. Nel suo compito in classe scrive: ”Vivo in una realtà difficile, non è tutto rose e fiori, ma se c’è qualche cosa di buono nessuno lo racconta. Perché non si parla di noi che lavoriamo? Perché non si parla di noi che vogliamo cambiare?”. Questa ragazzina rivendica ciò che di bello c’è nel posto in cui vive, ciò che di importante si fa e del modo in cui si fa.
Queste due semplici testimonianze ci dicono che le persone non sono contenitori che qualcuno riempie, ma sono risorse, idee e intuizioni che vengono fuori con forza e con rabbia, soprattutto in territori troppo spesso soffocati. Parlare di quello che c’è di buono e di bello in questo paese non conviene a nessuno, perché è l’elemento tragico e violento che fa guadagnare i quotidiani. Ma c’è una parte della popolazione italiana che è stanca di ascoltare solo queste notizie. Quella che ha deciso di spegnere la televisione (soprattutto durante il pranzo e la cena). Quella che usa altri canali per informarsi e quella che va aldilà della superficie di una notizia. C’è una parte di questa popolazione che vuole capire, che vuole cambiare a partire dalle cose belle che abbiamo come popolo e come paese. E’ un’Italia che sta rivendicando il proprio essere.
Ogni anno, per un giorno, queste persone si riuniscono in una città diversa per manifestare contro le mafie. E’ il popolo di Libera, Associazioni Nomi e Numeri contro le mafie. Un popolo in forte aumento. Quest’anno la manifestazione si è svolta a Napoli. Secondo gli organizzatori, c’erano 150 mila persone da ogni parte del paese e non solo. Da quest’anno hanno partecipato anche i parenti delle vittime di mafia provenienti dalla Polonia, Turchia, Senegal. Libera nasce il 25 marzo del 1995 con don Luigi Ciotti e con una donna, che ha perso suo figlio, un ragazzo di 23 anni da poco entrato in polizia. Vale la pena conoscere la sua storia per capire il senso che c’è dietro le parole silenziose di chi vuole lottare per un’Italia e per un mondo migliore. Dopo un breve tempo presso la caserma di Torino, questo ragazzo di 23 anni, è stato mandato nella città di Palermo, nella sezione catturandi della squadra mobile. Erano gli anni 1984-85. Un momento storico importante: una squadra mobile che decide di realizzare una squadra ad hoc con figure professionali specifiche per catturare i latitanti mafiosi. Arriva questo ragazzo che entra a far parte di questa squadra. Per ragioni di famiglia, la mancanza del padre e i problemi di salute della madre, è costretto a chiedere il trasferimento. Lavorerà a Roma. Qui s’innamora di una stupenda ragazza. Durante le ferie estive decide di portare la sua ragazza in Sicilia, a Palermo per mostrarle dove lavorava e per farle conoscere il suo commissario della squadra catturandi, Ninì Cassarà. Con grande soddisfazione le presenta i suoi vecchi colleghi e le mostra questa bellissima città: il mare, il porto, il centro storico. Dopo questa vacanza estiva avrebbe dovuto riprendere il suo lavoro a Roma. Quando ancora era lì, però, viene ucciso il commissario Beppe Montana. Partecipa con grande dolore ai funerali con la sua ragazza e si rende conto che il suo commissario, Cassarà, collega di Montana, è in pericolo. Sente che non è protetto. Sente che è lasciato solo. A questo punto, guarda la sua ragazza e le dice che ha deciso di restare lì per proteggere il suo commissario. Accompagna la sua ragazza a Roma. Ritorna a Palermo e scorta volontariamente il commissario Cassarà. Moriranno tutti e due con 71 colpi di mitraglietta. Era il 6 agosto 1985. Lui, con la sua grande generosità e il suo commissario, con il suo forte impegno contro la mafia siciliana. Lui era Roberto Antiochia. Sua madre, Saveria Antiochia e don Luigi Ciotti, hanno dato vita a Libera e insieme hanno deciso che doveva esserci un giorno all’anno, in cui tutti i parenti delle vittime di mafia e tutti coloro che s’impegnano contro le mafie, devono incontrarsi per camminare insieme e ascoltarsi reciprocamente. E’ stato scelto il primo giorno di primavera, il 21 marzo. Per dare una segnale di speranza e di cambiamento.
Oggi, la manifestazione del 21 marzo non è più il punto di partenza. E’ il punto di arrivo, dopo un anno di lavoro comune e comunitario in giro per le scuole di tutt’Italia insieme ai parenti delle vittime di mafia, per iniziare a cambiare la realtà in cui viviamo quotidianamente.".

2 commenti:

Kristel ha detto...

L'articolo è veramente bello! Grazie!
Spero di leggerne altri su Itaaliablog,
un caro sauto!

Anonimo ha detto...

quello che stavo cercando, grazie