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lunedì 12 marzo 2012

AeroPorti


La prima volta che sono entrata all'interno di un aeroporto è stato nell'autunno del 2004. Avevo appena finito il liceo e prima di iniziare l'università volevo fare un viaggio. Il mio primo viaggio. Lungo. Da sola. In aereo. Pagandolo con soldi miei (guadagnati lavorando tutta l'estate). L'aeroporto di Roma Fiumicino mi sembrò grandissimo in quel giorno autunnale. E ancora più grande mi parve quello di Heathrow a Londra dove feci scalo. Per giungere poi al terzo e ultimo immenso aeroporto in un giorno (o poco più) a Montreal, in Canada. Da allora nutro un certo fascino per gli aeroporti. Non mi sono mai sentita a disagio all'interno di un aeroporto. Nè in quelli italiani da cui spesso sono partita (Napoli, Pisa, Venezia-Treviso, Cagliari, Trapani, Bologna, Milano, Milano-Bergamo, Roma Fiumicino, Roma Ciampino). Nè in quelli europei (Parigi, Madrid, Vienna, Bratislava, Berlino, Amsterdam, Londra) o intercontinentali (Tel Aviv, Montreal, Manila).
L'aeroporto è il luogo dell'esaltazione delle differenze. Persone di ogni colore, lingua e nazionalità s' incontrano. Ma soprattutto si scontrano. I loro bagagli s'incrociano. Così come i loro sguardi. Le sale di attesa si riempiono di vite. Di storie. Di silenzi. Ma anche di parole. E per alcuni attimi. Fatti di minuti o di ore. Quelle vite si somigliano.

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